Manuel Poggiali, due volte campione del mondo delle moto (125 e 250): dalla pista alla… pasta.
Circuito di Le Mans, Francia. Siamo nel 2001, quasi 20 anni fa. Un giovane ragazzino, dopo aver tagliato il traguardo in terza posizione l’anno prima ad Assen nella classe 125, vince la sua prima gara. Sale sul podio ma… succede una cosa inaspettata: manca l’inno. “L’inno nazionale viene suonato solo per chi vince e in quell’occasione accadde che misero quello italiano e la bandiera di San Marino”. A parlare è Manuel Poggiali, due volte campione del mondo, nel 2001 nella classe 125 e nel 2003 in 250, lo sportivo che ha fatto conoscere la Repubblica di San Marino al mondo della velocità. 131 Gran Premi corsi, 12 vittorie, 35 podi complessivi, 11 pole position. Numeri da capogiro.
Ti ricordi com’è andata?
“Mi chiamarono in tantissimi per farmi i complimenti per la vittoria. Ero già supercompetitivo dall’anno prima visto che ad Assen, la cosiddetta ‘Università della velocità’, avevo raggiunto il gradino più basso del podio e comunque in quasi tutte le gare lottavo con i primi. In Olanda primo fu Youichi Ui davanti al connazionale nipponico Noboru Ueda mentre io arrivai a meno di 3 secondi. Vinsi in Francia davanti a Mirko Giansanti e Toni Elias e al momento della proclamazione e della consegna del trofeo risuonò l’inno di Mameli. Forse potevano essere un po’ più ‘pronti’ e preparati anche perché, come detto, ero già salito sul podio l’anno prima. L’organizzazione non fu perfetta”.
È stato più emozionante il primo podio o la prima vittoria?
“Il podio di Assen mi ha insegnato molto. Ero in seconda posizione quando alla penultima curva Ueda mi ha sorpassato all’esterno. Io ero abbastanza teso, sudavo freddo e non vedevo l’ora di arrivare al traguardo. Era davvero a portata di mano. Mi è venuto il ‘braccino’, come si dice in gergo. L’ho riconosciuto come un aspetto debole, ci ho lavorato anche psicologicamente. È stata un’esperienza che mi è servita per migliorarmi: successivamente, quando eravamo in tre a contenderci la vittoria all’ultimo giro, il più delle volte o vincevo o arrivavo secondo. Comunque quella gara mi ha visto per la prima volta sul podio. La vittoria di Le Mans è stata più emozionante”.
Hai gareggiato quasi sempre con il numero 54.
“È una storia lunga, nata nel 1996. Allora correvo nelle minimoto ed ero compagno di squadra di Marco Simoncelli e Mattia Pasini: una bella ‘mandata’ visto che siamo tutti arrivati a gareggiare nel motomondiale con risultati importanti. Eravamo nella categoria ‘Junior C’ e il livello di talenti era piuttosto alto. Io venivo dal ‘Selettivo Italiano’ del centro Italia dove avevo fatto bene. Arrivano le tre gare finali: nella prima sono caduto. Nella seconda ho rotto il motore. La terza l’ho vinta. Mattia aveva il 54, ereditato da suo babbo Luca, e vinse il titolo. In quell’anno Denny Méndez vinse il titolo di Miss Italia e aveva il numero 54. Arriva l’esordio nel mondiale 125 e prendo il 55 perché il 54 era già occupato. Siamo a Imola: caduta e clavicola rotta. L’anno successivo si è liberato il 54 e ho vinto. L’anno in cui ho corso con il numero 1 non è andato bene così sono tornato al 54”.
Sei stato insignito della Medaglia d’oro di 1ª classe al valore della Serenissima Repubblica di San Marino.
“La cerimonia si svolse a Palazzo Pubblico: fu un grande onore e un’emozione unica. Avevo vinto il titolo mondiale”.
La tua carriera è stata legata al brand Del Conca.
“Ero piuttosto giovane quando incontrai l’ingegner Enzo Donald Mularoni. Decise di sponsorizzarmi: ero contento e orgoglioso che un’azienda sammarinese mi avesse scelto per farmi crescere. Io ho portato tanto valore al mio Paese: nel motomondiale abbiamo avuto tutti e due una grande carriera. Nel 2018, l’anno in cui ho collaborato con il team Del Conca Gresini in Moto3, la squadra ha vinto il mondiale con Martin al primo posto e Di Giannantonio al secondo”.
Mescoliamo le carte e accendiamo i motori: come finirà il Motomondiale 2020?
“Spero che lo vinca Andrea Dovizioso: è italiano, corre con la Ducati che è una moto italiana e negli ultimi tre anni è arrivato sempre secondo. È un pilota molto forte e ha esperienza: viste le vicende in Ducati (il ‘Dovi’ e la ‘Rossa’ a fine anno si separeranno, ndr), Andrea ha saputo comunque tenere separati i due aspetti, quello personale e quello sportivo. Quando abbassa la visiera, pensa a correre e ad andare veloce”.
Misano ospiterà due gare di seguito, il 13 e il 20 settembre.
“La Yamaha è andata in crisi nelle due gare in Austria. Il circuito di Misano le si addice di più perché non ha grandi rettilinei e quindi non serve un supermotore. Mi piacerebbe che vincesse un italiano: Andrea Dovizioso, Valentino Rossi o Franco Morbidelli. A me piaceva di più il ‘vecchio senso di marcia’: il tratto dal Carro al Tramonto era straordinario. Oggi si gira in senso orario anche per gli spazi di fuga: il nuovo circuito è molto più sicuro”.
A inizio 2000 si contavano tre piloti di San Marino nel motomondiale: tu, Alex e William De Angelis. Perché oggi non c’è più nessuno? È un problema di talenti o di investimenti economici?
“Per me la Repubblica, dal punto di vista motoristico, fa poco o nulla. Non voglio essere polemico: è un dato di fatto. In passato ho provato a stimolare la Federazione, a studiare, mettendomi in gioco. Mi sono reso disponibile a lavorare ma ho riscontrato un interesse davvero minimo, quasi nullo. Mi sarebbe piaciuto avere – e mi piacerebbe tuttora – avere un ruolo diverso per il mio Paese, magari rappresentarlo in ambito sportivo in tutto il mondo”.
Oggi cosa fa Manuel Poggiali?
“Sono un po’ work in progress, alla ricerca di cosa fare da grande. Ho aperto una società con la quale svolgo una serie di lavori: una collaborazione racing con Gresini Racing e una serie di collaborazione commerciali con Dainese, Pirelli e Ducati. Un lavoro che richiederebbe uno staff da creare e coordinare, ma non è facile perché in fondo è un lavoro che richiede la mia presenza”.
Sappiamo che la tua vita non è solo moto: sei sposato, hai giocato a calcio a 5. Altro?
“Ciclismo, aria aperta. E cucina. Io sono una persona molto metodica. Negli anni in Aprilia c’era uno chef, Cristian Parolini, che mi preparava da mangiare. I piatti erano ‘pesati’. Io sono un pochino rompiscatole e un giorno mi porta un primo, mi sembra i maccheroni. Mettiamo che dovevo mangiare 100 grammi di pasta: quel piatto era 101 grammi. Ho lasciato un maccherone sul piatto. Cucino anch’io, comunque: mi diverte molto. Ho imparato a far ‘saltare’ la pasta anche se le prime volte rovesciavo tutto. Come nelle moto, anche in cucina è una questione di polso”.
Come si fanno gli strozzapreti?
“Farina, acqua e un pizzico di sale. Poi amalgami il tutto e fai i bigoli. Io però (ride) ho sempre bisogno della bilancia e della ricetta”.
I dolci?
“Non so fare il Bustrengo ma è un dolce che mi piace molto: andrebbe insegnato a scuola perché è un piatto della nostra tradizione che non dobbiamo perdere. Per me è il dolce di San Marino e andrebbe proposto anche ai turisti perché è l’emblema del Monte Titano”.
Alessandro Carli