L’avvocato che grazie al teatro divenne sammarinese

Per la sua fervida attività teatrale difatti, il 18 dicembre del 1862 venne iscritto nell’elenco delle persone ascritte alla cittadinanza onoraria di San Marino.

Come Molière, Carlo Goldoni, Alessandro Bergonzoni e Paolo Cevoli, anche Tommaso Gherardi del Testa (1818–1881) si è laureato in giurisprudenza (ha esercitato la professione di avvocato penalista) e poi si è dedicato al teatro. La sua passione per le commedie risale agli anni dello studio: fu in quel periodo che iniziò ad ammirare il “collega” veneziano, ma solo nel 1844 si decise a scrivere. L’opera prima, “Una folle ambizione”, riscosse un buon successo di pubblico e di critica. Parallelamente, svolse l’attività di giornalista per “La Settimana illustrata”, “La Vedetta” e “La Speranza”. Nonostante si adoperò anche nella prosa e nella poesia, il suo nome è legato essenzialmente al palcoscenico: lavorò attorno alla maschera di Stenterello – l’unica maschera del carnevale e del teatro fiorentino e, secondo le testimonianze di Pellegrino Artusi (che, oltre di cibo, si intendeva anche di teatro) e Pirro Maria Gabrielli, fu anche l’ultima maschera della commedia dell’arte antica – ma soprattutto su alcune commedie.

Nonostante sia un autore oggi poco rappresentato, non fu un commediografo di secondo ordine, sia chiaro, anzi, può essere considerato una delle “penne” del suo tempo più amate dal pubblico, e si caratterizzò per l’ironia con la quale riprese e riaggiornò alcuni elementi tradizionali del teatro del Settecento, legandoli a tematiche sociali a lui contemporanee.

Se la prima parte della sua produzione, motiva la critica letteraria, “si caratterizzò per la produzione di lavori di contenuto più leggero, per lo più incentrato sulla vita della borghesia”, le opere della maturità risentirono fortemente “dell’influenza goldoniana e descrissero più decisamente le tematiche sociali con intenti pedagogici o moraleggianti”.

IL PADIGLIONE DELLE MORTELLE

Tommaso Gherardi del Testa raggiunse una certa popolarità anche negli “ambienti” alti: per la sua fervida attività teatrale difatti, il 18 dicembre del 1862 venne iscritto nell’elenco delle persone ascritte alla cittadinanza onoraria di San Marino.

Lo Stato Pontificio inoltre, nel 1856, gli conferì la medaglia d’oro come miglior autore drammatico con il lavoro in tre atti intitolato “La scuola dei vecchi ossia il padiglione delle mortelle” e ambientato (come si può intuire dai nomi delle città che compaiono nel testo) in Toscana.

La scena si apre con due “vecchi”, un avvocato (l’autore?) e un dottore. Entrambi hanno preso come mogli due ragazze ben più giovani (un richiamo all’Aulularia di Plauto, ma anche alla stretta attualità dello showbiz) che, a differenza dei mariti, hanno molta gioia di vivere: amano ballare, anche sino a notte fonda, mettendo a dura prova l’avvocato e il dottore.

I due amici si stuzzicano, mettendo in mezzo un novello ballerino, tale Raffaele che, a turno, avrebbe danzato con le due ragazze. Ma se uno davanti all’altro si mostrano “duri” e poco gelosi, appena si ritrovano da soli il dubbio si instilla nelle loro menti. E’ in uno di questi attimi che l’avvocato Spagna si ritrova a pensare: “Gigia (la moglie), a dire il vero, è un po’ troppo ambiziosetta di comparire e troppo vaga di passatempi… non vorrei… ma cosa non vorrei? A venticinque anni pretenderei forse che la facesse da donna di cinquanta? La presi giovane, e, per dire il vero, per ora non posso lagnarmi”.

Raffaello ovviamente non è uno stinco di santo: ama una certa “ragazzina di Firenze”, Rosalia, ma corteggia le belle donne perché, testuale, la sua “collezione di ritratti non è ancora compiuta”. Ma la diatriba che si snoda nel testo, al di là delle vicissitudini, è tutta giocata – come riporta anche il titolo – sull’età. Abbiamo uomini di circa 60 anni (per Lena, la moglie del dottore, è un’età avanzata) e donne (la stessa Lena ma anche Gigia) che danno il ritmo al “gioco delle parti”, rimbalzandosi accuse di civetteria (per la prima è la seconda che ha fatto ceduto alla avances di Raffaello, per la seconda invece è stata la prima) e rassicurando i propri mariti, tutti over 55 e tutti e due benestanti. Ma Lena, rivolgendosi alla giovane Rosalia, promessa in sposa a un “vecchio” che non vuole, si fa rivelatrice: “Sei troppo giovane, non conosci i vantaggi di un ricco matrimonio”.

Raffaello però è deciso di aumentare la propria “collezione”, e si dichiara a Lena: “Signora, dal momento che io vi vidi, un gran turbamento si suscitò nel mio cuore”. Lena chiaramente non cede, anche se è lusingata. Ma è quando Raffaello parla di un presunto amore non sfociato nel matrimonio (il papà della giovane Zaira o Zelia – Raffaele, nella bugia, confonde i nomi – si era opposto), Lena, nel pensiero, si scioglie: “Povero giovine! M’interessa… dev’esser molto sensibile”.

Il giovane, grande lusingatore, le dice che assomiglia alla sua Zaira e Lena, chiaramente, cede. Privatamente poi Raffaello si pavoneggia davanti al servo, Giorgetto: “Queste avventure sono impagabili”. Nel frattempo le ragazze cercano marito per Rosalia. L’anzianotto Giacomo, zio di Raffaello e molto benestante, si propone. Rosalia però, confidandosi con le amiche, è esplicita: “Mi piacerebbe come zio, non come marito”.

La ragazza vorrebbe Raffaello, che però la prenderebbe in sposa solo per la dote dello zio. Anche con lei, il giovane tira fuori la storia di Zaira, e Rosalia se ne innamora. Lena e Luisa assistono nascostamente all’incontro tra i due giovani (“Ah, indegno” dice la prima, “Ah, monello” la seconda) mentre Giacomo sciorina una perla di saggezza: “Quando una ragazza sposa un vecchio, gatta ci cova, o per il passato, o per l’avvenire”. Ma davanti al “sì” di Rosalia, Giacomo si rimangia le parole. Raffaello incontra poi lo zio e gli mostra i “ritratti” di Lena e Gigia. L’uomo fa “uno più uno” e, per non rischiare di diventare cornuto e mazziato, fa un passo indietro. Quando i due innamorati si presentano al cospetto di Giacomo e degli altri personaggi e Rosalia dice di amare Raffaello, Giacomo è candido: “Io vi perdono perché mi avete impedito di fare la più gran corbelleria che possa fare un vecchio, quella di sposare una giovine”.