Il campione di motocross si racconta: dalle biciclette “truccate” all’amicizia con Valentino Rossi.
“Sono nato tra le macchine: mio babbo, che corre nei rally, e mio zio avevano un garage insieme e quando buttavano via i pezzi delle automobili, io li andavo a prendere e li attaccavo alla mia bicicletta perché pensavo che così sarei andato più forte. Ma quando scoprivo che in realtà questo non accadeva, ci rimanevo male”. La chiacchierata con Bryan Toccaceli parte da qui, da questo aneddoto familiare. Poi però Axel, un cucciolo di quattro mesi di Golden Retriever, irrompe nella stanza. Chiede la sua razione di coccole. “È arrivato qui da noi il 2 giugno, subito dopo il lockdown dovuto al Covid-19. Quando ero al centro di riabilitazione di Montecatone ho fatto anche un po’ di pet therapy. In quei giorni capitava che non avessi voglia di parlare con nessuno”. Poi però è successo che “quelle” presenze a quattro zampe, una volta lasciato il centro, gli siano mancate. “Quando faccio terapia a casa viene lì e inizia a giocare, così come quando combina una marachella, si mette in un angolo e mi osserva con uno sguardo supplichevole. Axel mi dà compagnia e amore. Il suo nome è un omaggio a un pilota di cross”.
Mentre Bryan dà un biscotto o un croccantino a Axel ci racconta che una zia ha raggiunto Capo Nord in moto. Insomma, i motori sono una questione di famiglia.
Siamo nella terra dei motori: il primo pensiero va al Motomondiale di velocità. Tu invece hai scelto il motocross. Come mai?
“A quattro anni mio babbo mi ha preso una mini-moto ma nessuno dei miei amici correva. Ho girato in pista a Cattolica e già da piccoli i piloti si sentono professionisti mentre per me era un gioco. Un carissimo amico, Nicolò Tamagnini, faceva motocross così ho detto a mio babbo che volevo provare anch’io. Con il tempo io sono diventato professionista mentre lui ha preferito studiare. Quando Nicolò si è laureato in design industriale mi ha dedicato la tesi”.
BT60. Da dove nasce questo numero? E il disegno dei cinghiale?
“Il cinghiale ricorda il mio fisico (ride). La natura mi ha messo al mondo non proprio ‘filiforme’. Il 60 invece è il numero che avevo al primo anno di gare ed era quello che aveva un pilota statunitense che mi piaceva. Poi ho cambiato: 595 dove il 5 è il mio mese di nascita, maggio, e il 95 l’anno. Alla fine però sono tornato al 60”.
Lo scorso 2 maggio hai compiuto 25 anni e ti sono arrivati gli auguri anche da Valentino Rossi. Quando vi siete conosciuti?
“Quando accompagnavo Stefano Manzi al Ranch. Lui non aveva il furgone e quindi lo portavo io, ma senza dare fastidio. Tre, quattro, cinque volte e poi ho conosciuto Valentino. Loro ‘inseguono’ la velocità e su questo non posso dire nulla. Il cross è diverso e quindi, quando me li chiedevano, davo loro alcuni consigli sui salti e sulla posizione da tenere. Ci siamo conosciuti così, in pista. Ogni periodo ha il suo pilota più forte: per me Valentino lo è del suo. Ora ci sono Marc Marquez e Fabio Quartararo, che però hanno stili diversi”.
Andiamo ai box: da fuori sembra che nel mondo dei motori non esistano amicizie tra i piloti. E invece?
“Quando sei in gara… sei in gara e tutti sono avversari. Avversari e mai nemici: solo avversari. Anche con Nicolò, che ritengo un fratello: ogni tanto, dopo qualche gara, ci siamo arrabbiati e non ci siamo parlati anche per un’ora. Poi però passa tutto. Battagli in gara ma quando finisce tutto, ci si sorride”.
Kiara Fontanesi ti ha dedicato il suo sesto titolo nel mondiale femminile di cross. Te lo aspettavi?
“Mi ha fatto tanto piacere. Abbiamo ‘corso’ da piccoli insieme e ai Regionali ‘dava paga’ a tutti perché andava più forte. Lei viene dalla ginnastica artistica e prima delle gare ci faceva fare una serie di esercizi. Alla fine eravamo ‘cotti’ mentre lei era fresca come una rosa”.
Segui ancora il Motomondiale? Come andrà?
“Con Marquez fermo ai box il mondiale è apertissimo. Per me se la giocano Quartararo e Dovizioso mentre Vinales lo vedo un ‘pelino’ più indietro”.
In Spagna i piloti vengono seguiti sin dagli esordi. In Italia?
“Da due o tre anni qualcosa si sta muovendo anche in Italia: le Academy stanno lavorando bene. Per quanto riguarda il cross la Francia e l’Olanda hanno programmi molto dettagliati: scelgono e seguono quattro o cinque piloti molto giovani e li accompagnano nella crescita. Se arrivano al Mondiale, all’interno del loro contratto è prevista una clausola che li ‘obbliga’ a versare una parte del loro compenso alla società che li ha allenati. Il contributo servirà per crescere e allenare altri giovani centauri”.
A San Marino mancano i talenti oppure c’è una carenza organizzativa?
“In Repubblica, dopo il mio incidente, si è un po’ spento tutto. Parlo del cross, ovviamente. Ed è un peccato perché con ‘Bimbi in pista’ stava crescendo un bel movimento. Abbiamo iniziato con due o tre bambini ed eravamo arrivati a 11 o 12. All’inizio era dura per me perché ci si vedeva la domenica mattina e a me piace dormire (ride). Poi però il loro entusiasmo e la loro passione mi hanno contagiato”.
Dalle due alle quattro ruote: la Formula Uno.
“Mi piace molto: per me oggi il migliore è Lewis Hamilton. Nella seconda gara che si è corsa a Silverstone mi ha sorpreso la sua tranquillità: a un giro dalla fine ha bucato ma non si è fatto prendere dal panico. Io avrei tirato pugno ovunque (ride) mentre lui ha portato la sua Mercedes su tre ruote sino al traguardo. Il suo successore, per me, è il ferrarista Charles Leclerc”.
Cos’è per te San Marino?
“Sono fortunato a essere sammarinese: mi ha permesso di fare esperienze nazionali e mondiali. Agli Europei ho portato la bandiera del mio Paese ed è stata un’emozione davvero unica”.
Alessandro Carli