Alla scoperta dei giovani talenti della Federazione Giuoco Calcio Sammarinese

Nome e cognome: Nicola Nanni

Data di nascita: 2 maggio 2000

Luogo di nascita: Borgo Maggiore (RSM)

Ruolo: Attaccante

Nome e cognome: Paco Piscaglia

Data di nascita: 20 agosto 2002

Luogo di nascita: Borgo Maggiore (RSM)

Ruolo: Attaccante

Nome e cognome: Filippo Fabbri

Data di nascita: 7 gennaio 2002

Luogo di nascita: Borgo Maggiore (RSM)

Ruolo: Difensore

Che ricordo hai dei tuoi primi calci dati al pallone?

Nicola: Ho solo bei ricordi di quando iniziai a Falciano, praticamente nel campetto sotto casa. Probabilmente si tratta dei momenti più genuini e spensierati che possa associare al calcio, tra i più belli sicuramente.

Paco: Il primo ricordo è molto vivido: ho iniziato circa a 8 anni ed in confronto ai miei amici ero già piuttosto sviluppato fisicamente. Spesso, parlando con loro, ci capita di ricordare quei tempi perché ci siamo divertiti tantissimo nel settore giovanile di base. Ho iniziato nella Folgore e se devo ripensare a quei tempi, affiorano in me ricordi di solo e puro divertimento: non vedevo l’ora di andare ad allenamento perché ci divertivamo sempre di più e vivevamo per il calcio. Ogni discorso e aneddoto era legato al calcio, all’uscita da scuola il pensiero fisso era: “quanto manca all’allenamento o alla partita?”. Di certo, se c’è un’emozione che descriva il primo ricordo legato al calcio, è quello della passione, associata al divertimento.

Filippo: I miei genitori mi hanno sempre raccontato che da piccolo non volevo quasi mai giocare con il pallone, quasi fosse un corpo estraneo. Poi, all’età di cinque anni, ho iniziato a giocare in strada con il mio vicino di casa e dopo qualche tempo suo zio ci ha proposto di portarci insieme in una scuola calcio di San Marino (la Serenissima). Da lì è iniziato il mio rapporto con il calcio.

Squadra e campione del cuore, negli anni della tua fanciullezza

Nicola: Più che una squadra, seguo determinati giocatori da cui mi piace prendere spunto. In tal senso ho guardata spesso il Napoli, specialmente nel periodo in cui giocava Edinson Cavani in attacco. Per lo stesso ragionamento, attualmente seguo con grande attenzione Lukaku dell’Inter.

Paco: La mia squadra del cuore è sempre stato il Milan, da quanto avevo 7 anni. Molti dei miei amici e compagni di classe al tempo erano già tifosi milanisti e facendo l’album delle figurine mi parlavano continuamente di quel fantastico Milan pieno zeppo di campioni come Kaká, Seedorf o Ibrahimovic. In particolare, mi associavano ad Alexandre Pato, più per somiglianza fisica che per caratteristiche in campo. A distanza di anni credo che possa essere lui il campione di riferimento: ripensandoci adesso mi si riempie il cuore a pensare alle sue giocate, perché come un lampo si accendeva e partiva per spezzare la partita. Tanti dei suoi gol sono venuti così. Tra i più belli ed iconici ricordo quello al Camp Nou con il Barcellona. Giocate del genere continuano tuttora a stupirmi e nonostante al tempo non seguissi il calcio continuativamente come avrei poi fatto negli anni a venire, direi che Pato è sicuramente il giocatore che mi ha suscito le emozioni più forti su un campo da calcio.

Filippo: Sono da sempre un tifoso interista e i giocatori di riferimento, da buon difensore, sono stati per me Walter Samuel e Javier Zanetti.

Il ruolo della famiglia: i genitori ti hanno spronato o, piuttosto, hanno subìto la tua passione e il tempo che le hai dedicato?

Nicola: La mia famiglia ha sempre avuto un ruolo determinante e centrale nel mio percorso, non esclusivamente a livello calcistico. Mi sono sempre stati accanto, seguendomi senza esercitare pressioni di alcun tipo. Merce rara al giorno d’oggi.

Paco: Devo dire che sono un ragazzo fortunato da questo punto di vista, perché i miei genitori mi hanno sempre aiutato, sostenuto e appoggiato in tutte le mie scelte, garantendomi un ampio margine di libertà. Quando ero piccolo ho provato tanti e diversi sport, senza che indirizzassero le mie scelte in alcun modo. Ricordo solo quando mi dissero che avrei potuto giocare a calcio, con i miei amici e compagni di calcio: è stato bellissimo, non lo dimenticherò mai. Tant’è che poi non l’ho mai avvertito come un peso. Peraltro, mi allenavo a Falciano, sotto casa. Ho fatto le giovanili a San Marino, dove io e la mia famiglia abbiamo potuto contare sulla comodità dei trasporti garantiti e una buonissima organizzazione. I miei genitori non hanno mai avuto modo di lamentarsi per i sacrifici che facevo o per la passione che donavo: erano solo contenti di vedere il loro figlio contento.

Filippo: Devo dire che i miei genitori non mi hanno mai detto niente per spingermi a fare o non fare qualcosa, in termini di sport praticati o nella carriera da calciatore ormai avviata. Mi hanno sempre lasciato fare tutte le scelte da solo, fin dall’inizio. Non sono appassionati di calcio, per cui non mi hanno mai messo pressioni addosso e tantomeno giudicato in base al rendimento in campo. Gli unici punti fermi per loro erano relativi all’andamento scolastico, infatti da quel punto di vista me la sono cavata sempre discretamente bene.

Qual è stato il tuo percorso? Hai fatto dei provini?

Nicola: Fino all’età di 16 anni ho giocato a San Marino, facendo la canonica trafila nel settore giovanile. Al tempo colsi l’opportunità di un provino a Cesena e rimasi con loro fino all’età di 18 anni. Quest’anno sono tornato in prestito al club romagnolo dal Crotone, società per la quale sono attualmente tesserato.

Paco: Sono molto fiero del mio percorso, anche se siamo solo all’inizio. Ho mosso i primi passi nella Folgore, il club di Falciano, per poi entrare nel settore giovanile della FSGC passando poi alla San Marino Academy nell’anno degli Allievi. Quindi ho avuto una buona opportunità in Eccellenza nella Marignanese, dove mi sono ritagliato il mio spazio tra gli “under” – benché in età vi fossero i ’99, ’00 e ’01 mentre io sono un classe ’02. Ho accumulato tanta esperienza, che non definirei una mossa sbagliata o precoce. Tutt’altro: forse la migliore che potessi fare, tant’è che poi abbiamo vinto il campionato, ma – ahimè – non ho avuto la fortuna di continuare il percorso in Serie D. Evidentemente non è un livello per il quale fossi pronto, chissà che in futuro non possa centrare questo obiettivo. Dalla Marignanese mi sono così trasferito a Riccione, dove ho giocato per la FYA. Purtroppo, il campionato venne fermato per i noti motivi legati alla pandemia da novembre a febbraio. Non ho mai fatto provini. L’opportunità alla Marignanese era legata ad una proposta avanzata da Massimo Bonini (al tempo Direttore Tecnico della FSGC), che ha messo una buona parola su di me così come faceva con altri giovani sammarinesi che, a suo modo di vedere e nell’interesse della Federcalcio per cui lavorava, meritassero di esprimersi a livelli più alti di quanto non stessero in realtà facendo. Mi presentò alla squadra e fu una grande mossa: non aver fatto provini in età ancor più giovane un po’ mi ha pesato, ma sono ancor più contento perché tutto quello che ho ottenuto me lo sono guadagnato da solo.

Filippo: All’età di 5 anni ho mosso i primi passi nella scuola calcio della Serenissima, poi a 9 anni sono stato contattato dal Ravenna dove ho giocato per un anno. Il club, purtroppo, è poi fallito, così sono stato chiamato al Cesena dove ho fatto il settore giovanile fino ai 16 anni, prima di essere ingaggiato per un anno alla SPAL e fare, infine, ritorno al Cesena. Quest’anno ho iniziato il ritiro con la prima squadra, poi a febbraio si è presentata l’opportunità di giocare in Serie D con la Correggese ed ho colto l’occasione.

Tecnica, tattica e mentalità: la formazione ricevuta li privilegia in egual misura? In quale aspetto sei naturalmente dotato e quale ordine di importanza assegni loro?

Nicola: Dal mio punto di vista, ritengo che a livello mentale ognuno di noi abbia un proprio percorso, del tutto svincolato – per quanto influente – rispetto all’evoluzione tecnica e tattica, di gran lunga le aree più curate nel mondo del calcio.

Paco: Tecnica, tattica e mentalità sono tre grandi pilastri del calcio. Due si riferiscono a condizioni mentali (tattica e mentalità) e benché siano molto difficili da allenare, le stesse possono svilupparsi nel tempo, determinando anche la crescita di un giocatore. Circa la tecnica, ritengo non ci sia mai limite, tanto che anche i migliori giocatori di sempre dicono che non si smetta mai di imparare e c’è sempre tempo per crescere, anche poco. Per me l’importante è essere costanti nel processo di miglioramento individuale. Non penso di avere spiccate doti innate: la mentalità è emersa a 15 anni, quando ho ricevuto la fascia da capitano degli Allievi Interprovinciali, al tempo allenata da Stefano Ceci – che desidero ringraziare e salutare –. In quel momento ho iniziato a confrontarmi con le responsabilità dei gradi in campo, rappresentare i miei compagni, avere colloqui con l’arbitro, caricarmi la squadra sulle spalle se fosse stato necessario, dare l’esempio. Tutti elementi che concorrono a forgiare la personalità e quindi la mentalità di un calciatore. In termini di tattica, il mio ruolo di attaccante prevede alcuni compiti specifici benché quantitativamente inferiori rispetto ad un centrocampista o difensore. Ciononostante, ne metto sempre un po’ da parte perché determinati concetti tattici potrebbero sempre risultare utili e venire fuori al momento giusto. Sulla tecnica ci sto lavorando da tanto e ci lavorerò parecchio: sento dire a più riprese e da tante persone che per una punta sia importante, ma non indispensabile. Personalmente credo che serva e servirà sempre: un giocatore tecnico non è solo bello da vedere, ma anche dotato di maggiori soluzioni. Dovessi determinare un ordine di importanza direi: mentalità al primo posto, seguita da tecnica e tattica. Senza testa e mentalità non si va da nessuna parte: si vedono tanti giocatori che, pur non essendo dotati di chissà quali doti tecniche o fisici strutturati, ricoprono il proprio ruolo con grinta e personalità espresse in campo. Fattori che incidono molto anche sulle prestazioni fisiche dei giocatori stessi: la mentalità va oltre tutto, ritengo che la testa batta i muscoli.

Filippo: A Cesena mi hanno dato tutto e formato appieno: mi ritengo fortunato ad aver fatto il percorso nelle giovanili e credo di aver formato la mentalità – aspetto fondamentale per un calciatore –in quel contesto. La ritengo assolutamente una delle componenti irrinunciabili per qualsiasi calciatore, unito ovviamente a tecnica e tattica.

Passione, divertimento e cultura del sacrificio: l’essenza del calcio si basa ancora su questi vecchi pilastri o il business ne ha introdotti altri con cui è necessario interfacciarsi?

Nicola: Senza dubbio: passione e divertimenti in primis, ma anche cultura del sacrificio crescendo come calciatore, sono componenti fondamentali che da sempre – e non solo oggi – sono alla base del successo di ogni sportivo.

Paco: Probabilmente non ho le facoltà per giudicare il calcio di adesso o quello precedente: sono però convinto che non esista calcio senza divertimento. Ogni allenatore, nessuno escluso tra quelli che ho avuto, ha sempre detto nel prepartita che il primo obiettivo è quello di divertirsi in campo. Il resto viene dopo. Specialmente nel settore giovanile, divertirsi equivale anche ad esprimersi al meglio, facendo emergere la propria passione. Benché spesso possa sembrare che lo sport in generale ed il calcio in particolare restituiscano poco, rispetto alle rinunce ed ai sacrifici profusi per tanti anni, un giorno – quando meno è atteso – si viene travolti da un’ondata di gioia, felicità che ricorderai per tutta la vita, anche ripensando alla fatica e ai sacrifici fatti. La ruota, come il pallone, gira. E tendenzialmente lo fa per il verso giusto: quando arriverà il tuo momento, sarà indimenticabile. Tornando alla domanda, per me, che ho 18 anni, è difficile parlare di business o denaro. Non ne ho visto girare tanto, sono sincero, ma non mi interessa nemmeno. Ovviamente ho i miei interessi nel personale, ma il business ha un po’ cambiato il calcio, specie ad altissimi livelli. Nel settore giovanile, invece, sono convinto che molti bambini e ragazzi si divertano in maniera genuina, così come tanti che in età avanzata continuano a darsi al calcio per amore di questo sport. È bello e giusto che sia così.

Filippo: Penso che passione, divertimento e sacrificio siano tuttora alla base del calcio. Naturalmente, crescendo e misurandosi nel calcio degli adulti, emergono anche altre componenti meno romantiche e più pratiche, ma le basi sono ancora quelle.

Qual è il tuo obiettivo calcistico nel breve periodo?

Nicola: Sono una persona coi piedi ben piantati a terra, tanto che il mio obiettivo di breve periodo è quello di migliorare tutti gli aspetti del mio gioco, quanto più rapidamente ed efficacemente possibile. In particolare, vorrei crescere dal punto di vista tattico ed ovviamente in fase realizzativa, che spesso e volentieri è il primo metro di valutazione per qualsiasi attaccante.

Paco: Il mio obiettivo calcistico da qui a 1-2 anni è quello di continuare a giocare. Voglio fare chiarezza: quello appena trascorso è stato un anno molto complesso e particolare. Ben diverso dal precedente, benché altrettanto interrotto dalla pandemia. Ho dovuto affrontare diversi problemi: il campionato che è partito, poi interrotto e infine ripartito; eventi annunciati e annullati all’ultimo; campionati finiti a maggio, allenandomi in seguito, e al momento con i ragazzi della Primavera. Tutto questo mi ha fatto molto riflettere su quanto siamo estremamente fortunati: chi non smette di giocare, a lungo andare può anche affrontare periodi di noia o pressione, invece io, al contrario, mi sono reso conto che queste anomalie mi hanno permesso di esprimere la mia passione totale per il calcio. Finché ne avrò la possibilità, vorrò sempre giocare a calcio, praticare lo sport che amo. Quando si presenterà il problema o l’evenienza, la affronterò. Per ora continuare a giocare, dopo due anni di incertezza, è l’obiettivo principale che nel breve periodo mi pongo.

Filippo: L’obiettivo che mi pongo, giorno dopo giorno, è quello di migliorarmi costantemente. Non so cosa potrebbe riservarmi il futuro, ma quel che è certo è che non voglio avere rimpianti.

Qual è l’allenatore con cui sogni di evolvere come calciatore?

Nicola: Ho avuto diversi allenatori di grande talento e da ognuno di loro ho cercato di trarre preziosi insegnamenti per la mia crescita individuale e come elemento di un gruppo. Se parliamo di sogni, un giorno mi piacerebbe poter far parte di una squadra di Ancelotti.

Paco: Da tutti gli allenatori che sento nominare in televisione, non sono particolarmente attratto. Come tutti, anche noi giovani calciatori non possiamo dire di conoscerli, non ho mai avuto la possibilità di confrontarmi in campo o fuori con uno di loro. Se dovessi fare il nome di un allenatore che conosco, farei il nome di Andy Selva. Proprio perché avendolo conosciuto in campo e fuori, mi ha aiutato ad aprire gli occhi. Mi ha aiutato tanto, indirizzandomi verso il ruolo di attaccante centrale che oggi ricopro. Lui è stato una grande punta e mi ha fornito preziosi consigli che, insieme a quelli carpiti da altri allenatori, mi hanno permesso di diventare quello che sono. Se dovessi un giorno alzare un trofeo o firmare per una grande squadra, mi piacerebbe avere lui al mio fianco: la personalità non gli è mai mancata e sono sicuro che potrebbe trasmettermene altra.

Filippo: Mi piacerebbe poter arrivare un giorno a far parte di una formazione di alto livello con allenatori affermati e di caratura nazionale o internazionale. Il mio idolo in panchina è stato Mourinho e pensare di raggiungere, un giorno, livelli del genere rappresenta un sogno. Ad oggi non ho allenatori di riferimento, ma cerco di impegnarmi per trarre il massimo dagli insegnamenti di ognuno di loro.

La Federazione in che modo sta aiutando il tuo percorso di crescita?

Nicola: Ritengo che la Federazione offra un’opportunità più unica che rara a ragazzi come noi: abbiamo la possibilità di fare esperienze di livello assoluto in campo internazionale che giocano un ruolo fondamentale nella maturazione come calciatore, in tempi piuttosto rapidi.

Paco: La FSGC mi ha dato una grossa mano, benché qualche tempo fa le nostre squadre si fossero divise. Li ho ringraziati e continuo a farlo tuttora, dopo anni di settore giovanile. Era però arrivato il momento di cambiare e fare uno step ulteriore, del quale entrambi siamo soddisfatti. Al momento ho l’opportunità di tenermi in attività allenandomi come aggregato alla Primavera 3, squadra di buonissimo livello che disputa un campionato prestigioso e ancora in corso.

Filippo: La Federazione mi ha seguito per tutto il percorso giovanile in ambito di Nazionali: dall’Under 16 fino alla Nazionale, con l’esordio nelle qualificazioni ai Mondiali di Qatar 2022 dello scorso marzo. Ho iniziato con il Torneo di Sviluppo come calciatore sotto età a Cipro, poi tutti gli step internazionali con U17, U19 e tre partite in U21, prima della chiamata di mister Varrella di qualche mese fa.

Cosa rappresenta il calcio per te?

Nicola: Il calcio, dal mio punto di vista, rappresenta un mondo pieno di opportunità e sfide da affrontare, nonché auspicabilmente vincere.

Paco: Il calcio per me rappresenta un motivo di vanto. È una frase che fa effetto, sono sicuro, ma ogni sabato sera in cui ho rinunciato ad uscire, ogni petto di pollo mangiato a pranzo, ogni levataccia per lunghe e interminabili trasferte, rappresentano per me alcune delle cose più belle. Benché agli occhi di tanti siano visti come sacrifici, e non nego che alle volte siano effettivamente tali, per me rappresentano più che altro un privilegio. Quando mi si chiede “chi te lo fa fare?”, io me ne vanto. Io vado a giocare a calcio. I sacrifici per il calcio sono valsi, valgono e varranno sempre la pena: un giorno, come dicevo, tornerà tutto indietro. E se per molti rappresenta tutto, è così anche per me: una vera e propria religione.

Filippo: Per me il calcio ha sempre fatto rima con passione: non l’ho mai visto come sacrificio o tantomeno come un lavoro. Non mi è mai pesato nessuno dei sacrifici fatti finora.

Come ti vedi fra 10 anni? Cosa sogni nel tuo futuro?

Nicola: Tra dieci anni mi vedo ancora nel mondo del calcio, in seguito invece spero di approfondire gli studi per trovare un ruolo diverso dopo la carriera da calciatore.

Paco: Tra 10 anni non saprei. La mia personalità mi porta a vivere giorno per giorno, anche perché attraversiamo un periodo delicato. Guardare al 2030 potrebbe fare paura, specie per un diciottenne come me che sta affrontando la vita da adulto. È quasi finita la scuola e qualcuno andrà a lavorare o studiare: per me e i miei coetanei è la prima vera svolta nella vita e pensare troppo avanti può spaventare. Sono sicuro che tra dieci anni mi vedrò, comunque, sereno, chissà se ancora con un pallone tra i piedi. Quello che cerco è serenità e tutto ciò che ho raggiunto, in un modo o nell’altro l’ho sempre desiderato. Nel mio futuro vedo me stesso: ho fatto tanto per me, senza affidarmi troppo agli altri. Questo perché se non ci si mette al centro dei propri progetti, questi potrebbero dare risultati sgraditi, se non delusioni. Sono sicuro che saprò togliermi delle soddisfazioni in futuro. Posso dire solo questo, da bravo realista quale sono.

Filippo: Il mio sogno è sempre stato quello di rendere la mia più grande passione il mio lavoro, approdando nel mondo del professionismo calcistico. Sono consapevole che sia un’ambizione tutt’altro che semplice da soddisfare. Di certo continuerò a dare tutto me stesso e ad impegnarmi al 200% per cercare di realizzare il mio sogno. Laddove non fosse possibile, farò altro, senza alcun tipo di problema o rimpianto.