FabLab: le botteghe tecno-artigiane

In una sala affollata di San Marino, qualche mese fa, alcuni importanti nomi del panorama imprenditoriale italiano concordavano su un fatto: la nostra piccola Repubblica potrebbe essere il luogo ideale per dare vita ad un FabLab.

L’occasione era il convegno “StartUp e Aziende, un connubio possibile? Nuove opportunità di lavoro oggi” sotto la guida del collettivo Talenti Digitali  e sul palco, fra gli altri, c’era Amleto Picerno Ceraso – fondatore del Mediterranean FabLab – Medaarch. Nello stesso mese sulle pagine del Fatto Quotidiano l’articolo di Umberto Rapetto prospettava per il Titano un possibile futuro da Silicon Valley europea, un centro di sviluppo per il settore terziario avanzato in cui i FabLab si inseriscono a pieno titolo.

L’invitante prospettiva spinge all’approfondimento: cosa sono i FabLab e che ruolo hanno nell’economia contemporanea?

FabLab: dal Bit all’Atomo

I FabLab sono spazi dedicati alla produzione di oggetti e materiali di qualunque tipo attraverso strumenti digitali.

Più simili a laboratori artigianali che a fabbriche tradizionali, nei FabLab si sfrutta la versatilità di macchinari di nuova generazione – stampanti 3D, microprocessori e schede di prototipazione elettronica (fra queste l’italiana Arduino), laser cutter e fresatrici ad alta precisione – per realizzare oggetti partendo da progetti digitali tridimensionali.

Padre dei fabrication laboratory è Neil Gershenfeld, Professore del Massachusetts Institute of Technology (MIT) che per il suo corso dal titolo “How to Make (almost) Anything” diede vita nel 1998 ad un laboratorio universitario per la sperimentazione su nuovi materiali e tecnologie. Per Gershenfeld la rivoluzione introdotta dalla tecnologia digitale non poteva considerarsi completa nella bidimensionalità dello schermo, lo è invece nel passaggio da bit ad atomo, da informazione a materia.

L’interesse verso i bizzarri prodotti realizzati nel laboratorio del MIT e le possibilità di sviluppo che un simile sistema avrebbe potuto costituire se messo a disposizione di inventori, imprenditori, studiosi indusse la National Science Foundation ad investire sull’idea di Gershenfeld, nel 2002 si inaugura il primo FabLab della storia presso il South End Technology Center di Boston.

Foto da: fablabtorino.org per il workshop FablabShareLove!

Foto da: fablabtorino.org per il workshop FablabShareLove!

Il Manifesto dei FabLab

Nel 2005 Gershenfeld pubblica Fab. Dal personal computer al personal fabricator, il saggio destinato a diventare la bibbia dei Makers (i fabbricatori digitali) di tutto il mondo. Sotto la sua guida nascono nel giro di pochi anni FabLab in India, Norvegia, Ghana e oggi se ne contano centinaia sparsi in tutti i continenti.

I laboratori inclusi nell’International FabLab Association sono quelli che si riconoscono nel manifesto redatto dal Center for Bits and Atoms diretto da Gershenfeld che in breve può essere riassunto in quattro fondamentali linee guida:

  • Accesso libero alle tecnologie presenti nel FabLab a tutti coloro che si dimostrino interessati.
  • Sottoscrizione ed esposizione della FabLab Charter.
  • Condivisione di conoscenza nell’uso di strumenti e processi produttivi e incentivo all’utilizzo di software e hardware open source.
  • Collaborazione in rete con un network globale di maker.

In accordo con le politiche di coworking e sharing economy (ne abbiamo già parlato qui) che stanno modificando le regole di mercato internazionali, nel modus operandi di un FabLab  è centrale il lavoro di gruppo, la condivisione di sapere e il valore aggiunto dato dalla contaminazione di idee da parte di una rete globale.

Per dirla in modo sintetico, con uno slogan da Makers: Dream it. Make it. Share it.

Personale, Locale, Globale

Fab, secondo l’interpretazione del suo inventore, non sta solo per Fabrication, ma anche per Fabulous. Il corso al MIT ottenne un successo incredibile perché permetteva a chiunque ne facesse parte di realizzare qualsiasi idea fantastica passasse per la sua testa, fra le più bizzarre produzioni ci furono un browser per far dialogare pappagalli fra loro, un contenitore portatile per urlare senza essere sentiti (ScreamBody di Kelly Dobson) e un vestito per proteggere il proprio spazio personale.

La disponibilità di tecnologie a basso costo e la conoscenza condivisa sono alla base della sperimentazione senza limiti che può dar vita a progetti unici, personalizzati e allo stesso tempo utili ad un’intera comunità. Dalla personal fabrication, l’invenzione destinata ad un mercato di un solo acquirente (il suo inventore), alla risoluzione di problemi locali il passo è breve.

Grazie ai primi FabLab in India si sviluppano strumentazioni agricole innovative, in Ghana si realizzano turbine a vapore per la conversione d’energia, e in Italia con un gran ritardo rispetto al resto d’Europa, alcune nicchie di artigianato locale vengono riattivate dopo un lungo periodo di stallo.

Per Chris Anderson, esperto di nuove tecnologie ed economie e direttore di Wired USA, l’industrializzazione del movimento dei Makers, la combinazione della manifattura digitale e di quella personale, stanno alla base della terza rivoluzione industriale, la stessa rivoluzione annunciata dal settimanale Economist il 21 aprile 2012 con un articolo entrato nella storia.

Bottiglie stampate in 3D per la serie da collezione 25,0 sponsorizzata da Peroni e M&C Saatchi

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Italia: Terra di Artigiani, Inventori e Makers

Espressione pura del concetto di Glocal, le FabLab si rivelano presto infrastrutture utili per la valorizzazione di identità, saperi tradizionali e produzioni locali, con il valore aggiunto dato da competenze globali e possibilità di distribuzione non limitata geograficamente.

Altro aspetto rilevante è quello che accomuna i Makers agli artigiani, infatti la produzione realizzata in un FabLab non riguarda tanto la realizzazione su scala industriale (in tal caso il lavoro in laboratorio è finalizzato alla realizzazione di un prototipo), ma soprattutto le piccole produzioni e la possibilità di creare prodotti personalizzati al 100%. All’opposto della grande fabbrica infatti, il costo unitario non aumenta modificando singole parti del prodotto, ma nemmeno diminuisce aumentando il numero di prodotti uguali. Il blogger e designer Jason Kottke, mutuando un termine in uso per la produzione di bourbon artigianale, lo definisce Small batch business, traducibile come lotto minimo di produzione, in cui cura e qualità fanno la differenza rispetto alle produzioni in larga scala.

Tali concetti sembrano fatti apposta per rivitalizzare una tradizione italiana di artigianato e di piccole e medie imprese su cui si fonda la produzione nazionale. I settori che portano con orgoglio il marchio Made in Italy sul mercato globale, le famose 4 A (Abbigliamento, Arredamento, Alimentare e Automazione-meccatronica) sono anche gli ambiti di specializzazione in cui meglio si è fino ad ora espressa la produzione dei FabLab.

L’input ad aprirsi verso questo nuovo concetto imprenditoriale nel Belpaese viene dalla mostra Stazione Futuro, area dedicata alle innovazioni italiane nel corso dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Da questa esperienza che vede la partecipazione di Massimo Banzi, uno dei padri del processore Arduino già impiegato nei FabLab di tutto il mondo, nasce Officine Arduino; al progetto si uniscono le forze di Toolbox – spazio di Co-working torinese e di alcune aziende del territorio. FabLab Torino apre nel 2012 con un modello economico basato sull’associazionismo e sulla collaborazione con le piccole medie imprese che commissionano progetti o collaborano con la struttura, ma anche con scuole, artigiani, liberi professionisti e start-up.

Secondo i dati della FabFoundation oggi in Italia risultano operativi circa 70 Laboratori di Fabbricazione Digitale, recuperato il tempo perso l’Italia è quindi la seconda nazione al mondo per concentrazione di FabLab. I Makers italiani sono un popolo molto eterogeneo che si compone di appassionati, divulgatori, ricercatori, imprenditori e studenti.

Le strutture che ospitano i FabLab nazionali sono le più varie: musei e università,  capannoni industriali e botteghe dei centri storici. Prendendo esempio da Stati Uniti ed Europa, nascono anche in Italia i primi incubatori e spazi di coworking urbani, che grazie alla possibilità di dotarsi di attrezzature semiprofessionali ad un costo molto ridotto rispetto a soli 5 anni fa, implementano la propria dotazione tecnologica con stampanti 3D e macchinari per il taglio di legno, vinile, plastica, tessuti, cartoni. Infine, come negli esempi portati da Amleto Picerno Ceraso nel convegno sammarinese, oggi anche la medicina, l’architettura e l’urbanistica rientrano nelle nuove frontiere della produzione digitale.

A Barcellona,  il progetto di FabCity è già reale, con l’integrazione di un FabLab in ogni quartiere e obiettivi rivolti alla sostenibilità sociale ed energetica per l’intera città.

Foto da: archibat.com | Makers all’opera

Foto da: archibat.com | Makers all’opera

 FabCity San Marino. Siamo Pronti?

Il modello FabLab è una delle espressioni della cosiddetta innovazione “dal basso”. Questo non significa che lo Stato non ne sia coinvolto, ma che la collaborazione fra artigiani, professionisti, studenti, scuole, enti, pubbliche amministrazioni, piccole medie imprese e privati, procede su un binario autonomo, non frenato da interessi superiori e nemmeno dai tempi della burocrazia statale.

San Marino però è uno Stato molto particolare, piccolo e autonomo, capace in potenza di organizzare in modo agile un cambiamento di rotta della propria economia e più che mai interessato ad attrarre uno sviluppo del sapere e della ricerca che rappresenterebbero un esempio virtuoso per l’Europa intera.

Non solo, il Titano si colloca geograficamente in un’area da sempre orientata alla produzione artigianale di qualità, dalle produzione della ceramica alla piccola industria alimentare, dalle aree produttive dedicate alle grandi firme della moda alla tradizionale lavorazione di pellami, fino alle stampe su tela e intaglio del legno.

E ancora, San Marino possiede oggi una riconosciuta e apprezzata Università di Design, oltre che nuovi corsi di laurea in Ingegneria Civile e Gestionale, una ricchezza di saperi che favorirebbe la rinascita dell’economia nazionale in chiave Hi-Tech.

Infine, se quello che serve è un pensiero ispiratore, ci possiamo rifare ancora una volta al padre di Arduino, esempio di innovazione e genio italiano, che sostiene:  “Non ci vuole il permesso di nessuno per rendere le cose eccezionali”.