Adelinda, il grande dramma lirico del Titano

Adelinda

E’ legata a quest’opera in tre atti l’ascrizione all’elenco dei cittadini onorari di San Marino di Antonio Ghislanzoni e del Maestro Agostino Mercuri in data 28 ottobre 1872.

Di Alessandro Carli

Non una, bensì, due, anche se a braccetto. E’ legata all’inaugurazione del Teatro Concordia e alla relativa messa in scena dell’opera che ha seguito il taglio del nastro dello spazio di Borgo Maggiore – quella “Adelinda”, dramma lirico in tre atti – l’ascrizione all’elenco dei cittadini onorari di San Marino di Antonio Ghislanzoni (il suo nome è legato soprattutto al libretto dell’opera “Aida” di Giuseppe Verdi, con il quale collaborò anche alle revisioni della “Forza del destino” e del “Don Carlos”) e del Maestro Agostino Mercuri in data 28 ottobre 1872.

Per recuperare la storia – una bellissima pagina del passato della nostra Repubblica – abbiamo attinto ai libri custoditi nella Biblioteca di Stato: gli “Atti del Consiglio Principe e Sovrano” per trovare le motivazioni che hanno accompagnato l’onorificenza e la tesi di laurea della dottoressa Maria Grazia Fiorani, “L’inaugurazione del Teatro Concordia di Borgo Maggiore (R.S.M.) e l’Adelinda di Agostino Mercuri (1872)”, discussa presso l’Università degli studi di Bologna e preziosa per leggere la trama dell’opera.

Mentre gli “Atti” approfondiscono “tecnicamente” le onorificenze (“A Ghislanzoni Antonio il grado di Cavaliere, a Mercuri Agostino di Cavaliere Ufficiale”; per l’occasione “la Reggenza” diede inoltre “la Medaglia di Merito di terza Classe a tutti i Coristi indistintamente sì forastieri che Sammarinesi”), come detto la ricerca della dottoressa Fiorani ci aiuta a svelarne il plot.

Prima di addentrarci nella storia, torniamo per un attimo a quel 1872 e al percorso che ha portato alla mise en scene che, fatto bellissimo, ebbe vastissima eco anche in Italia: numerosi giornali, come ad esempio “L’Italia” di Firenze, ma anche “La Lombardia di Milano” e “Il Napoli Musicale”, pubblicarono gli annunci della rappresentazione dell’opera “sammarinese”.

L’Adelinda venne portata sulle assi del Concordia la sera del 18 agosto 1872 alla presenza degli Eccellentissimi Capitani Reggenti Giuliano Belluzzi e Pietro Berti, ma anche dei maggiori esponenti dello Stato, dei critici giunti da diversi paesi e da un numerosissimo pubblico, che applaudì più e più volte diretto dal Maestro Agostino Mercuri. Si racconta che le “arie”, in particolar modo quella della “Marcia Trionfale” del primo atto, vennero fischiettate dai sammarinesi anche a distanza di molto tempo dalla “prima”.

La collaborazione del Mercuri con la Serenissima Repubblica, tuttavia, aveva già avuto inizio nel 1867, data in cui San Marino si affiancò ad altri paesi nella commemorazione di Guido d’Arezzo. In quell’occasione, il Maestro contribuì attivamente all’organizzazione dell’evento che si svolse a San Marino e che prevedeva una “Grande Accademia vocale e strumentale a benefizio del monumento europeo a Guido Monaco” che si tenne nel teatro Titano della Repubblica in data 3 settembre 1867. Al centro di questa manifestazione si impose la figura di Pacini che, per l’occasione, compose un “Inno a San Marino” su testo poetico di Niccolò Tommaseo, accolto favorevolmente da critica e pubblico. E’ di questi anni una fitta corrispondenza epistolare – 24 missive – tra il Maestro e il Titano.

Ma veniamo alla storia raccontata al Teatro Concordia. L’opera, in tre atti, si basa sul romanzo di Cesare Monteverde “Adelinda o La Repubblica di San Marino”, e narra il tentativo di invasione del territorio sammarinese perpetrato da Cesare Borgia nella prima metà del secolo XVI.

L’eccellente lavoro filologico della dottoressa Fiorani ci porta davanti al sipario. Il primo atto si svolge in un’osteria di Serravalle dove un gruppo di scagnozzi capitanati dal luogotenente Nado e assoldati dal Duca Borgia, in attesa di sferrare l’attacco ai sammarinesi, si rilassano sorseggiando vino e discutendo di strategie e del più e del meno.

Gli sgherri, nonostante l’impegno che li attende, non disdegnano le donne. Nell’osteria lavora Manilla, che immediatamente viene invitata a intrattenerli con qualche romanza del suo paese d’origine (la ragazza è di colore). Anche grazie all’ausilio del liuto, la giovane racconta la propria vita, in particolar modo il motivo che l’ha spinta a intraprendere il viaggio che l’ha condotta a San Marino: l’amore per un giovanotto.

Non appena Manilla scopre i malvagi piani dei soldati, abbandona il suo pubblico: il suo spasimante, quel giovane che l’ha fatta partire dalla sua terra d’origine, è sammarinese. La ragazza quindi lascia l’osteria e va ad avvisare i governanti del Titano dell’imminente pericolo che sta per manifestarsi.

La scena poi si sposta: nel giardino del console sammarinese Belluzzi troviamo due giovani, Giorgio e appunto Adelinda (figlia del Console), che amoreggiano e si scambiano effusioni e delicate parole. Improvvisamente entra il papà di lei, che invia Giorgio a Venezia per chiedere una mano in caso di attacco del Borgia. Giorgio naturalmente parte, con la consapevolezza che quel suo viaggio può essere d’aiuto alla sua patria.

Il racconto cambia location: siamo in Piazza di San Marino. Qui Raffaele sta festeggiando il suo Santo Protettore quando Manilla lo avvicina (sì, è lui l’amato che l’ha fatta emigrare sul Monte) per avvisarlo dell’imminente pericolo. Raffaele prende in mano la bandiera di San Marino e incita i suoi concittadini a difendersi dalla minaccia che sta bramando il Valentino.

Il secondo atto ci porta in una cella priva di luce: Naldo ha catturato Adelinda e i suoi soldati stanno marciando verso San Marino. Manilla, con un escamotage, riesce a intrufolarsi nella stanza e aiuta l’amica a fuggire attraverso un’apertura segreta. Intanto Giorgio è riuscito a ottenere l’aiuto dai veneziani, ai quali si sono aggiunti i potenti del Montefeltro. Il giovane però viene messo al corrente che Adelinda è stato fatta prigioniera dal perfido Naldo. La sua disperazione e la sua rabbia si sciolgono quando sente la voce dell’amata. In men che non si dica, un uomo – l’Eremita – li unisce in matrimonio.

All’apertura del terzo atto la scena immerge gli spettatori in un’atmosfera di lutto: il Console Belluzzi è deceduto. Poco più in là, in Piazza, due uomini parlano fitto fitto: sono Naldo e Raffaele. I due stanno tramando qualcosa di losco. Poco dopo arriva Adelinda che, separatasi momentaneamente da Giorgio per occuparsi del padre, li vede assieme e arretra, disgustata. Raffaele le mostra una missiva che le ha portato Manilla in cui si legge che Giorgio sta arrivando a San Marino con le truppe alleate. La lettera tranquillizza la ragazza e assieme mettono a punto un piano per liberare la Repubblica di San Marino dalle truppe del Borgia. Cosa che avviene, non prima però che Manilla e Giorgio si confidano l’amore.

Chiusura un po’ desueta per il genere – il lieto fine – ma certamente adeguata all’occasione della “prima”, l’apertura del nuovo teatro di Borgo Maggiore.

Sipario.